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L'occasione è stata offerta dal gemellaggio tra il Comune di Cagliari e il Comune di Spilamberto, iniziato un anno fa presso la Casa comunale del centro in provincia di Modena e completato quest'anno con la visita del sindaco di Spilamberto, e di alcuni esponenti della sua giunta, alla città di Cagliari per commemorare il partigiano Geppe. Geppe, al secolo Antonio Garau, noto Nino, è stato comandante della brigata partigiana che tra il 21 e il 23 aprile 1945 liberò la città di Spilamberto e l'intera zona dalle truppe nazifasciste (vai alla biografia). Della sua figura si erano già interessate la 3^ e la 4^ G del nostro liceo, grazie alla scelta di ricordare la sua vita voluta dalla Prof.ssa Pompei che ha invitato a parlare nelle due classi il prof. Walter Falgio, studioso della Resistenza e in particolare della figura storica di Nino Garau,. Particolarmente importante l'incontro con la 4^ G, frequentata da Francesca Nurra, nipote di Nino Garau per parte materna. Pertanto sabato scorso 22 aprile, nell'aula consiliare del Comune di Cagliari, durante il gemellaggio, era presente una rappresentanza di alunni del corso G, soprattuto della 4^ G che, assieme a Francesca, ha potuto ascoltare alcuni giovani studenti di Spilamberto che hanno condotto un progetto scolastico legato anche al nome di Nino Garau. Durante l'incontro anche Francesca ha raccontato in modo toccante il suo ricordo di nonno Nino con un breve discorso che riportiamo qui per esteso:

"Mio nonno era una persona rara, una di quelle persone che durante la vita si incontrano poche volte. Era un uomo molto riservato, ma ciò non gli impediva di mostrare il suo affetto e l’amore che provava per tutti noi. Era attento, premuroso (se ci trovava in difficoltà cercava sempre di aiutarci, mi ricordo di quando ero in prima liceo e, nonostante lui avesse 95 anni, mi aiutò per i primi compiti di latino e greco). Era anche un po’ apprensivo (ogni sera verso l’ora di cena ci telefonava per chiedere se fossimo tutti tornati a casa). Per lui la famiglia era molto importante: ha sempre cercato di mantenere vivo il rapporto tra di noi riunendosi per pranzo la domenica o quasi pretendendo che noi nipoti lo andassimo a trovare durante la settimana, e chi non lo faceva gli procurava un dispiacere così grande che la volta successiva non esitava a farlo notare.

Ritengo di essere molto fortunata ad avere avuto un nonno come lui per tutti i valori che durante la sua vita mi ha trasmesso. Uno di quelli per cui lo ammiro di più è l’umiltà; lui però non me l’ha trasmessa attraverso le sue parole, ma perché col tempo notavo che la maggior parte delle sue grandi imprese (sia quelle svolte in tempo di guerra che quelle svolte durante il resto della sua vita) venivano sempre raccontate da altre persone, come quasi se lui provasse imbarazzo nel parlarne in prima persona. Forse questo è uno dei motivi per cui a casa ha sempre raccontato poco della guerra; preferiva ricordare episodi spensierati della sua giovinezza o quei pochi momenti felici trascorsi con i suoi compagni di brigata, anche se notavo essere sempre accompagnati da un lieve sentimento di tristezza. Però ha sempre voluto spiegarci quali furono i valori e le motivazioni che lo spinsero a diventare un partigiano: mio nonno ha sempre ritenuto che il fascismo fosse una violazione dei diritti umani, partecipare alla lotta partigiana non era una scelta di tipo politico, non poteva essere una lotta tra due fazioni. Lui decide di diventare un antifascista mosso dal desiderio di ritornare a vivere in un paese libero, e soprattutto animato da un forte rispetto per la sua nazione e i suoi abitanti. Il rispetto é un valore che ha sempre mantenuto durante il resto della sua vita: per lui era fondamentale avere considerazione del prossimo e soprattutto del mantenere gli impegni presi, da perdona precisa e seria qual era. È proprio questo che lo ha spinto a non abbandonare mai il campo di battaglia, a ritornare dopo essere stato torturato pesantemente dai nazisti, per non lasciare soli i suoi compagni che senza la sua figura di comandante non avrebbero saputo cosa fare. Tutto ciò nonostante lui abbia sempre disprezzato la guerra, d’altronde come diceva sempre: “la guerra non ha né vinti, né vincitori; come potrebbe considerarsi vincitrice una madre che ha perso un figlio ma che abita in una nazione vincente?”

Spinto da queste motivazioni, quando era già in età avanzata, ha deciso di iniziare a raccontare la sua storia, soprattutto ai giovani. Lui voleva che loro conoscessero una testimonianza diretta così che potessero apprendere le atrocità accadute, e poiché sperava che parlandone con le future generazioni si potesse evitare di commettere gli stessi errori del passato. Anche se incontrava perlopiù liceali, mi ricorderò sempre di quando venne a raccontare la sua storia nella mia classe alle elementari. Lui era agitatissimo, aveva paura che dei bambini di 9 anni lo trovassero noioso; invece i miei compagni ascoltarono ogni sua parola, provando una forte ammirazione nei suoi confronti. Lo videro proprio come un eroe, tanto che alla fine dell’incontro si misero tutti in fila in modo tale che mio nonno potesse autografare i loro diari.

Anche quest’anno la sua storia é stata raccontata nella mia classe: questa volta però non c’era nonno Nino, ma al suo posto il professore Walter Falgio che ha fatto conoscere a nuovi studenti l’esperienza di mio nonno. Ma adesso, anni dopo, ho la maturità per capire i sacrifici che ha fatto durante la sua giovinezza".